È ora di pensare ad una ‘oncologia territoriale’ in rete con medicina generale e ospedali.
Il Covid ha colpito drammaticamente l’Oncologia italiana. Ha colpito prima di tutto l’ammalato di cancro che, secondo i dati raccolti dalle Associazioni di pazienti, ha trovato difficile accedere alla chirurgia, che per questo paziente vuol dire guarigione, ad avere una corretta presa in carico o un sostegno psicologico e affronta tutt’ora problemi di malnutrizione e fragilità sociale. La pandemia ha messo il paziente oncologico nella condizione di scegliere se continuare il percorso di cura o di interromperlo totalmente per paura del contagio (numerose le disdette di esami diagnostici, ricoveri ordinari calati di oltre il 20% e una diminuzione di giorni di degenza in day hospital). Il Covid ha colpito il cuore dell’organizzazione dell’Oncologia: le attività di prevenzione, diagnosi e cura (dal blocco degli screening istituzionali, in particolare nella prima ondata, alla riduzione dell’attività chirurgica oncologica e dell’attività diagnostica). Le conseguenze sono chiare a tutti: si assisterà ad una aumentata domanda oncologica per diagnosi che non sono state fatte nell’anno passato e per diagnosi fatte in fase più avanzata di malattia. Oncologi, associazioni di pazienti e Reti oncologiche nazionali, nel nuovo confronto organizzato da Motore Sanità, con il contributo incondizionato di Amgen, Boston Scientific, Nestlé Health Science e Takeda, dal titolo “ONCOnnection IL CANCRO AL TEMPO DEL COVID”, si sono appellati al neo Governo Draghi affinché la pioggia di miliardi previsti dal Recovery Plan, destinati alla sanità, vengano investiti al meglio considerando l’oncologia italiana come un’emergenza nazionale e la strategica ed ineludibile chiave di volta qual è l’integrazione ospedale-territorio.
“Il Covid è stato uno tsunami per i malati oncologici e i loro famigliari” ha spiegato Francesco De Lorenzo, Presidente F.A.V.O. “Abbiamo avvertito una difficoltà per accesso alla chirurgia che per i malati di cancro vuol dire guarigione, è stato un dramma nella prima ondata e lo è tutt’ora, al punto che alcuni pazienti si trovano a dover bussare al privato perché le liste di attesa nella sanità pubblica sono lunghe oltre 4 mesi e continuano ad aumentare. In alcune regioni si è registrato un numero elevato di morti, esiste una mancata somministrazione di terapie, c’è un gravissimo problema di malnutrizione e di fragilità sociali, la presa in carico è stata attivata correttamente sono nelle reti oncologiche che funzionano, la sospensione degli screening istituzionali nella prima ondata ci lasciano una pesante eredità, una aumentata domanda oncologica sia in termini qualitativi che quantitativi. Abbiamo un’emergenza oncologica: c’è bisogno di risorse, il Governo finanzi l’oncologia italiana. Il piano oncologico europeo sarà una salvezza per l’Italia, non possiamo rimanere ancorati ai piani organizzativi delle singole regioni perché non giovano al malato, che continuerà a fare i viaggi della speranza, e perché continueranno a far persistere le gravi disuguaglianze. Dobbiamo lavorare insieme politicamente affinché si dia all’oncologia italiana il rispetto che merita anche sul piano del processo di innovazione e di ammodernamento, per consentire l’accesso alle terapie innovative che oggi manca ad una buona parte d’Italia”.
“Sottoscriviamo subito e facciamo nostro il documento della Commissione europea contro il cancro che ha presentato al Parlamento europeo – ha invitato Paolo Pronzato, Direttore Oncologia Medica IRCCS San Martino, Genova – Coordinatore DIAR Oncoematologia Regione Liguria -. È una raccomandazione che noi responsabili delle Reti oncologiche dovremmo prendere in considerazione”.
“Siamo il Paese in Europa con la più alta aspettativa di vita alla nascita, anche perché garantiamo cure oncologiche di qualità, ma siano anche il Paese nel quale la qualità della vita per paziente con patologia è la più bassa in Europa e questo è il dato che dobbiamo modificare, su questo incidono sicuramente le risorse che vengono posizionate sul comparto oncologico ma influisce anche l’organizzazione generale. L’eccesiva frammentazione che oramai viviamo da troppi anni è uno dei fattori che non aiuta nella gestione ottimale dei pazienti oncologi. Associazioni, società scientifiche e istituzioni devono lavorare sulla parte che manca e il Covid ci sta dando ulteriore conferma di quello che serve” ha rimarcato Lorenzo Latella, Segretario Cittadinanzattiva della Campania.
In alcune realtà regionali, l’Oncologia ha registrato una tenuta della presa in carico dei pazienti sul territorio, merito dei servizi sanitari regionali che hanno dato il forte messaggio di non bloccare le attività legate alla diagnosi oncologica, e merito dell’istituzione di nuovi modelli organizzativi che nell’emergenza hanno consentito di poter continuare a curare i pazienti, di attivare televisita e teleconsulto, la domiciliazione di taluni farmaci e di effettuare il follow up sul territorio. L’emergenza sanitaria continua a mettere in evidenza una necessità che oggi non può più aspettare, quella dell’oncologia territoriale organizzata in “recettori oncologici” che lavorano in continuità con la medicina generale e l’oncologia ospedaliera.
A sottolinearlo è stato l’Assessore alla Sanità e al Sociale, Regione del Veneto Manuela Lanzarin. “I modelli organizzativi di presa in carico e le strutture flessibili che nella nostra Regione e grazie al grande lavoro della Rete oncologica veneta si sono adattate alle necessità e ai problemi del momento ci hanno permesso di rispondere in modo puntale ai bisogni di salute dei malati oncologici. In questo anno di pandemia abbiamo anche scoperto modelli che saranno il futuro della sanità oncologica territoriale, quelli legati alla telemedicina, al follow up e dell’oncologia più vicina al territorio, e saranno fondamentali nella costruzione di modelli futuri. In tempo di Covid credo che ancora di più l’aspetto psicologico sia stato importante, e penso all’accompagnamento al paziente e al sostegno ai familiari che si sono trovati ad affrontare a volte da soli la malattia, anche questa è una componente molto importante da osservare in modo multidisciplinare e in una visione di una oncologia territoriale e di una integrazione ospedale-territorio”.
“Il tema dell’oncologia territoriale ha avuto sicuramente una accelerazione con l’esperienza Covid ma è un tema che era già presente prima e che oggi si può realizzare con una miriade di attività – ha spiegato il professor Gianni Amunni, Associazione Periplo – Responsabile della Rete Oncologica Toscana e Direttore Generale ISPRO, Regione Toscana -. I 3.600.000 casi prevalenti di tumore non possono avere risposte adeguate solo dal lavoro svolto dall’oncologia ospedaliera anche perché esprimono bisogni molto più articolati dai bisogni sanitari e sociali. L’esperienza emergenziale dell’oncologia territoriale ha necessità di uscire da questa fase e di recuperare nella normalità alcune esperienze che sono essenzialmente la maggiore integrazione tra ospedale e territorio. Questo significa incominciare a pensare al percorso oncologico con più setting assistenziali a disposizione, come il domicilio del paziente, i letti di cure intermedie, le articolazioni assistenziali del Chronic care model; significa incominciare a pensare che il follow up è un classico esempio di medicina di iniziativa e che nel territorio deve svolgere gran parte della sua attività; significa creare una infrastruttura telematica che è condizione irrinunciabile per affrontare il tema dell’integrazione ospedale-territorio. Se incominciamo a ragionare in questa logica dovremmo riscrivere e ridisegnare i nostri PDTA e considerare ciò che del percorso del paziente è più logico che si svolga a livello del domicilio, delle cure intermedie o delle strutture ospedaliere, e spostare in sedi più logiche e più naturali per alcuni bisogni clinici a livello territoriale le attività di psiconcologia, per esempio, di supporto nutrizionale e le attività di riabilitazione oncologica”.
L’Italia sta attraversando una fase ancora molto critica ma è la campagna vaccinale antiCovid a fare ben sperare. In Regione Veneto la Rete oncologica non solo ha istituito il Registro prospettico dei pazienti oncologici Covid positivi, ma ha anche attivato il programma di vaccinazione per i malati oncologici in trattamento attivo.
“L’obiettivo del Registro è cercare di capire cosa avviene nei nostri ammalati colpiti dal Covid per poi modulare i loro percorsi di cura. Abbiamo già pubblicato le caratteristiche dei pazienti oncologici Covid positivi della prima ondata sulla prestigiosa rivista oncologica europea e presenteremo all’Asco le caratteristiche dei pazienti della seconda ondata” ha spiegato Valentina Guarneri, Professore Università di Padova, Oncologia 2 Istituto Oncologico Veneto. “La raccolta dati è in corso: sono 440 i casi registrati fino al 10 febbraio, questi pazienti hanno un quadro di condizioni cliniche migliori rispetto alla precedente coorte; si è abbattuto il contatto ospedaliero e anche la mortalità è molto ridotta, per contro aumenta la mortalità ascrivibile all’infezione. Le analisi preliminari che confrontano i pazienti diagnosticati durante la prima e la seconda pandemia rafforzano la necessità di proteggere proattivamente i malati di cancro dall’infezione da Sars-Cov-2”.
“La campagna vaccinale prevede di suddividere i pazienti oncologici per fasce di rischio e saranno le oncologie della Rete ad effettuare le vaccinazioni. Stimiamo nel giro di otto settimane, qualora arrivino i vaccini, di vaccinare tutti i pazienti oncologici in trattamento attivo nella regione Veneto” ha spiegato Pierfranco Conte, Associazione Periplo – Direttore SC Oncologia Medica 2 IRCCS Istituto Oncologico Veneto, Padova – Direttore della Scuola di Specializzazione in Oncologia Medica Dipartimento di Scienze Chirurgiche Oncologiche e Gastroenterologiche, Università̀ di Padova, Coordinatore Rete Oncologica Veneta.