Vicenza 2 dicembre 2021 – Nel 2005 Miteni comunicò al genio civile di Vicenza la realizzazione di una barriera idraulica. Tuttavia non era questo l’ente competente ad autorizzare una barriera di emungimento e trattamento ambientale di acque inquinate, e quindi il Genio civile non ha colto la criticità ecologica sottostante.
Questo sarebbe l’indice della consapevolezza del problema relativo ai Pfas da parte di Miteni. In ogni caso questa barriera non avrebbe garantito l’interdizione dei fenomeni di diffusione contaminanti fuori dal sito Miteni. Di fatto vi è stato per anni in “rubinetto aperto” sulla falda, nella quale venivano quindi immessi i Pfas.
Il tema è stato sollevato oggi dall’avvocato Marco Tonellotto, legale di Acque del Chiampo, che con Acque Veronesi, Viacqua e Acquevenete si è costituita parte civile nel processo a carico di 15 manager di Miteni spa, Icig e Mitrubishi Corporation, accusati a vario titolo di avvelenamento acque, disastro ambientale innominato, gestione di rifiuti non autorizzata, inquinamento ambientale e reati fallimentari. Sul banco dei testimoni oggi si è seduto il dirigente dell’Arpav Vincenzo Restaino, direttore del dipartimento Arpav di Vicenza dal 2010 al 2014 che è stato sentito per circa sei ore dal pm, dalle parti civili e poi anche dagli avvocati della difesa.
Restaino ha spiegato che nel 2013 Arpav non sapeva che l’inquinamento da Pfas fosse così largamente diffuso. Nel 2005 quando il Genio civile autorizzò la barriera idraulica, gli enti pubblici non avevano gli strumenti per scoprire i Pfas nell’acqua.
I gestori idrici Acque del Chiampo, Acque Veronesi, Viacqua e Acquevenete si sono costituiti parte civile nel procedimento Pfas, nella convinzione che debba essere riconosciuto un risarcimento per i danni ambientali provocati dall’azienda di Trissino.
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